LA FORZA DELL' ANONIMATO
LA FORZA DELL' ANONIMATO
La grande gabbia che costruiamo attorno a noi è invisibile e soprattutto presente.
Onnipresente.
Le sbarre vibrano soprattutto di notte, come fili dell'alta tensione.
Di giorno la gabbia preme sul torace.
È ansia di essere qualcuno e vibra nel respiro smorzato, nelle pieghe della voce, della fronte delle mani dell' addome.
Vibra come una supplica segreta, "Ti prego fammi essere qualcuno", che nasce dal terrore di non essere, come se essere nessuno fosse il nulla.
Ma l'anonimato, ora, nel tempo del ricatto continuo, della funzionalità e della mercificazione assoluta che spreme la vita fino all'esaurimento, l'anonimato ora è una scelta di vita e di libertà che non ha prezzo.
Non temere l'anonimato come una maledizione ci libera dalla minorità perenne di chi supplica continuamente, guardando in alto, di essere qualcuno, di diventare qualcosa con un valore di mercato.
L'anonimato ci permette di rivolgere lo sguardo attorno e di riconoscerci con gli altri con le altre.
La gabbia che ci costruiamo attorno invece e' isolamento, sospetto, sfiducia. È paura degli altri, tensione continua in una competizione che ci svuota fino all'esaurimento.
Essere creativi è ciò che in questo momento può aiutare la nostra radicalità, sottrarci alla gabbia svuotandola.
Come un guscio vuoto, ma una creatività irriducibile al mercato, ai suoi criteri di premialita'. Non abbiamo più bisogno di opere rassicuranti, di facili divagazioni per intrattenere la nostra angoscia e stordire la paura di vivere.
Abbiamo bisogno di un processo di creazione che ci aiuti, come minatori, a scendere nella profondità delle nostre viscere fino alla ferita, per farla splendere.
In un film di Godard Belmondo punta una pistola verso il sole.
Prima di sparare bisogna almeno aver imparato a danzare.
A.A.
San Fidenzio 02 settembre 2016
“La via dell’educare alla luce del nuovo umanesimo”
Buon giorno a tutti e grazie che avete accolto l’invito a partecipare a questo momento di formazione che vuole aiutarci a prendere sempre più coscienza della profondità e dell’ampiezza del “ministero altissimo” che siamo chiamati a vivere e che ci vede ogni giorno a contatto con chi sta crescendo e attende da noi il giusto “concime” per crescere.
Riporto un’espressione che S. Teresa scrisse nel 1844: “ La vostra vocazione, mie dilettissime, è la più perfetta fra tutte, come quella che oltre alla propria perfezione intende alla perfezione altrui. Figlie carissime pensate gran grazia che Dio vi fece per sua pura bontà e misericordia,… eccovi qui nella casa del Signore a trattare gli interessi di Dio e a spendervi per la salute delle anime. Siete levate e destinate ad operare con Dio la vostra ed altrui santificazione in ministeri altissimi e divini “.
E, proprio perché siamo coscienti che la chiamata ad essere educatori è una chiamata particolare, oserei dire straordinaria, invochiamo insieme il Padre, perché sia con noi ogni giorno di questo anno scolastico, donandoci il pane di cui necessitiamo per vivere la nostra missione.
Il tema dell’incontro di oggi è “La Via dell’educare alla luce del nuovo umanesimo”. Noi sappiamo per esperienza che l’andare per via, sia a piedi che in bicicletta o in macchina, incontriamo ostacoli di ogni genere e necessitiamo quindi di attenzione per non ricevere danni o arrecarne agli altri. Anche la via dell’educare domanda alcuni criteri – principi inderogabili per la crescita di chi ci è affidato. Ne tolgo alcuni dal testo “Cura delle giovani e modi di educarle”della nostra Fondatrice:
1. Buon esempio nelle educatrici
S. Teresa scrive: “Se volete essere veramente utili alle vostre giovani precedetele in ogni virtù coll'esempio, memori che più si edifica tacendo e operando, che predicando senza operare; e che il profitto dei sudditi non si deve alla voce del Superiore, ma al suo esempio. Il nostro Signore si umiliò prima d'insegnare ad umiliarsi; patì prima d'insegnar a patire; e volendo che i suoi discepoli portassero la croce, prese la sua, e andando prima innanzi a tutti, invitolli poscia a seguitarlo”. Leggiamo infatti nel Vangelo di Giovanni 13, 13- 15: “Voi mi chiamate Maestro e Signore, e fate bene perché lo sono. Dunque, se io, Signore e Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Io vi ho dato un esempio perché facciate come io ho fatto a voi” Cosa significa per noi oggi questo? Potremmo fare una lista interminabile di parole, gesti, azioni che già facciamo quando siamo con i nostri educandi – studenti… ma tutto questo rimane sterile se non parte da un cuore che sa amare e da una mente che sa capire, agire con coerenza in relazione a ciò che dice e domanda. Come Gesù, prima di chiedere determinati comportamenti dobbiamo noi viverli, testimoniarli, i nostri ragazzi ci guardano e intuiscono se quello che noi chiediamo loro lo viviamo. Dice ancora Santa Teresa: “… A volte ci capita di essere un po’ come i farisei, dei quali dice il Signore: "fate quel che dicono e non quel che fanno;" (Mt. 23,3) poiché essi colla loro condotta smentivano quello che insegnavano colla voce….”
E a proposito di questo torna efficace una storiella: “Quand'ero adolescente - raccontava un uomo ad un amico - mio padre mi mise in guardia da certi posti in città. Mi disse: "Non andare mai in una discoteca, figlio mio"."Perché no, papà?", domandai. "Perché vedresti cose che non dovresti vedere". Questo, ovviamente, suscitò la mia curiosità. E alla prima occasione andai in una discoteca."E hai visto qualcosa che non dovevi vedere?", domandò l'amico. "Certo", rispose l'uomo. "Ho visto mio padre".
2. Studiare l’animo delle allieve e non voler formarle sul proprio spirito.
Prima di passare ad un altro principio educativo di S. Teresa vi leggo un pensiero di Don L.Verdi tratto dal suo libro: “ Il domani avrà i tuoi occhi” che mi sembra possa introdurci nel tema che stiamo per affrontare:
L’amore non lega, ma libera.
L’altro non è la tua metà, né complementare a te,
è un’identità che si realizza solo nel rispetto della diversità,
nel permettere all’altro di restare di carne, vivo
e senza trasformarlo in quel che tu vorresti.
La gelosia, l’ansia e l’intransigenza che nascono nell’amore
sono figlie di una paura che non sa vedere l’altro
nella sua essenzialità e verità, nella sua luce ed ombra.
Nascono dal non saper scrutare i segreti del cuore,
da un amore che non ha la forza di aiutarci a vivere, a morire,
e soprattutto a rinascere di nuovo.
E Santa Teresa scrive: “Nel maneggio e nella coltura delle giovani dovete usare di un estrema discrezione. Tenete ferma la mira di educarle alla virtù e di condurle a Dio: e nella scelta dei mezzi per riuscire vi accomodate alla tempera, all'indole, alle inclinazioni e alle circostanze di cadauna. Fate notomia dell'animo di ciascuna, ne osservate gli andamenti, ne studiate le propensioni e i moti fino a conoscerla dal fondo per formarne fondato giudizio: e sul conoscimento di ciascuna stabilite il modo con cui le dovete trattare. Alcune vorranno un trattamento grave, altre affabile, alcune rigido, altre dolce, riservato alcune, altre facile e confidenziale. Date a ognuna quanto le si confà, essendoché quello ci vuole e non altro per condurle alla virtù e perfezionarle nello spirito. Se vi mette alla coltura delle anime e alla educazione del cuore delle giovani, legate e schiave di certe massime generali, applicandole indifferentemente, otterreste ben poco di bene, e correreste pericolo di causare confusione e grave disordine. Usando dolcezza, soavità e condiscendenza con certe giovanette ardite, sfacciate e caparbie, ne avreste ben tosto delle arroganti, pretenziose e sdegnose di freno. E se deste mano alla severità e al rigore con altre per temperamento timido e riservato, le avreste avvilite e confuse. Parecchi sono i casi in cui è uopo tenersi esclusivamente a un partito, se non si vuol cadere in errore. Per fare una giusta scelta, torna indispensabile di studiare attentamente entro e fuori il soggetto, a cui deesi la regola applicare. Finché non abbiate ben conosciuta la tempera e l'indole delle giovani non vi appigliate a nessun partito specificato: men male che restino qualche tempo prive del loro pane, di quello sia ricevano un nutrimento a loro non confacente”.
Da quanto scrive Teresa potremmo individuare tre atteggiamenti che ci aiutano a formare i nostri affidati conforme al progetto che Dio ha su di loro.
a) Curiosità, non morbosa, ma quella sana curiosità che ponendoti di fronte al comportamento del ragazzo ti suscita i giusti interrogativi per non essere superficiale, o dare per scontato che “tanto quello è così”, ma per capire come guardarlo, come accoglierlo, per comprendere le motivazioni del suo agire o reagire e soprattutto per percepire che al di là di alcune reazioni c’è sofferenza, ci sono difficoltà che a volte anche lo stesso studente non riesce a verbalizzare. Scrive Teresa “…far notonia dell’animo di ciascuna…. e sul conoscimento di ciascuna stabilite il modo con cui le dovete trattare”
b) Ascolto: l'ascolto permette all'insegnante, all’educatore di cogliere i bisogni, gli interessi, lo stato d'animo dell’ allievo, favorisce il diventare presente nella vita dell’alunno e partecipe del suo vissuto, e aiuta lo studente a comprendere che quanto egli dice è importante, non verrà divulgato, né darà luogo a rimproveri. L’ascolto domanda un cuore che sa comprendere, amare, ma soprattutto rispettare l’altro come persona che deve crescere libera e consapevole di ciò che è e porta dentro di sé, inculcandogli l'idea che è sempre possibile migliorare, che è sempre possibile andare oltre.
c) Valutazione: l’educatore deve sapersi valutare, ma costantemente, sulle idee, sul suo modo di essere presente in classe, sulle relazioni che stabilisce con gli educandi, su come ama il suo servizio, la sua disciplina e su come ne trasmette i contenuti, tenendo sempre presente che l’educare non è un mestiere, ma un “ministero altissimo”, poiché nelle nostre mani, ma più ancora nel nostro cuore, c’è il futuro del nostro Paese, futuro che si costruisce dando fiducia e sicurezza all’alunno, che al mattino, svegliandosi, non vive l’ansia, o l’angoscia del dover andare a scuola.
Lo ripetiamo: l'educazione è cosa di cuore: non c'è forza più grande dell'amore e solo l’amore rende possibile la crescita morale, intellettuale che noi auspichiamo nei nostri allievi. Solo un insegnante che ama davvero il suo lavoro e offre generosamente quell'amore che protegge, fa crescere, aiuta, non umilia, non schiaccia, può rendere sereno e piacevole il tempo che l’alunno trascorre a scuola, poiché il primo atto, autenticamente educativo, non consiste mai nel fare qualcosa, nell’intervenire, nell’agire, ma nello sforzo di “vedere – comprendere “ quel qualcuno che ci sta di fronte.
Concludo con una lettera riportata dal quotidiano “Le Monde “
“ Caro professore,
sono un sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere dovrebbe mai vedere: camere a gas progettate da ingegneri istruiti, bambini uccisi con veleno da medici ben formati, lattanti uccisi da infermiere provette, donne e bambini uccisi da diplomati di scuole superiori e università. Diffido, quindi, dell’educazione e dell’istruzione. La mia richiesta è: aiutate i vostri alunni a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti. La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani.”
A voi tutti auguro una giornata di ascolto, di condivisione di esperienze di vita educativa vissuta, per ripartire carichi di speranza in questo anno scolastico all’insegna della fiducia e del rispetto delle persone che avremo di fronte.
Buon lavoro !!!!
suor Lorenza Morelli f.s.c.j.
Esortazione della md Provinciale
Quel buon profumo di umanesimo
Immersi nel bello architettonico dell’istituto Seghetti e avvolti dal profumo di nuovo umanesimo che attrae e spinge fin dal Convegno di Firenze, alla presenza della guida autorevole di Don Andrea Toniolo della Facoltà Teologica del Triveneto,ancora una volta si è parlato di educazione, intorno al tema “La responsabilità educativa alla luce dell’umanesimo cristiano”. Un gruppo di uomini e donne, più suore che laici, dediti a servizi di responsabilità educativa e amministrativa nelle scuole, nelle case – famiglia, nei convitti universitari delle FSCJ di tutta Italia, hanno cercato insieme di individuare, secondo la visione antropologica cristiana, di cosa si nutre il servizio educativo che non smette mai di interpellare soprattutto in questo tempo di crisi. Il Convegno di Firenze ha sottolineato come la questione antropologica, presente nella cultura contemporanea, potrà trovare soluzioni adeguate proprio attraverso la via dell’educazione, soprattutto se si riesce a creare una rete di istituzioni che, mosse da un’attenzione alla crescita e allo sviluppo, siano orientate verso un futuro sostenibile e umano. La questione della persona umana, oggi messa in crisi sia dagli sviluppi delle tecnoscienze, sia dal dominio planetario di una finanza “astratta” dalla vita concreta delle donne e degli uomini del pianeta, potrà ritrovare il posto che gli spetta di diritto poiché l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è signore della terra?
All’educazione bisogna dedicare un’attenzione qualificata, non tanto perché viviamo in tempi di “crisi educativa”, ma perché senza educazione è impossibile crescere come persone umane. «L’educazione dell’uomo è un risveglio umano» ha scritto J. Maritain. Educare è la via che più di tutte contribuisce a costruire il “vero umanesimo”, perché «compito principale dell’educazione – come ci ricorda Maritain – è soprattutto quello di formare l’uomo, o piuttosto di guidare lo sviluppo dinamico per mezzo del quale l’uomo forma se stesso ad essere uomo».Don Toniolo ci ha accompagnato con tono riflessivo e passaggi chiari dentro il cuore della questione educativa segnata da tre elementi importanti:
-esperienza - tradizione - libertà
Nella scuola entrano con i ragazzi le situazioni belle e fragili delle famiglie, il pluralismo, il bisogno di relazione, la forza dirompente dei media, la fatica della disciplina, le domande di senso. La scuola è, e rimane ancora, uno dei luoghi di vita più importanti, anche se disorientata, esautorata, poco sostenuta economicamente. La scuola è il luogo privilegiato dove si fa esperienza di vita, dove non solo l’intelletto, ma anche il cuore, lo spirito, il corpo vengono interpellati con domande, pensieri, sogni, progetti. E’ un’esperienza di vita garantita dalla tradizione, depositaria di valori, di cultura, di saperi che hanno profumato la vita di chi ci ha preceduto e ne ha permesso la realizzazione come uomini e donne. Educare grazie a un quadro di riferimento carismatico che vuole la libertà della persona come unica e originale, non mai omologabile, perché animata da interessi e passione che la attraggono a realizzare ciò che già è, significa fare sintesi, dare compiutezza, dare testimonianza con umiltà, con disinteresse, nello spirito delle Beatitudini.
Educare è umanizzare, è prendersi cura dell’umano per portarlo a pienezza, è prendersi cura della persona, è sostenere e sviluppare processi di crescita e di innovazione a servizio delle persone e della società.
In un contesto dove viene messa in discussione, oltre al contenuto e al metodo, la stessa possibilità di educare, il compito educativo sembra essere divenuto più difficile. Ciò è ancora più evidente di fronte alla percezione diffusa che molti adulti sembrano aver rinunciato a proporre ai giovani significati e regole per vivere con responsabilità e libertà, per la comune difficoltà a superare la rigidità del passato e il permissivismo libertario che hanno caratterizzato la transizione di modelli educativi ormai desueti e ritenuti obsoleti.
Educare è orientare, è indicare mete e scopi per risvegliare la progettualità e sostenere la speranza di un futuro, è nutrire la vita , è mettere a disposizione della persona contenuti ed esperienze che la nutrono in tutte le sue dimensioni (corporea, cognitiva, motivazionale, affettiva e relazionale, religiosa…)
L’educazione deve tornare ad essere spazio privilegiato in cui si formano le persone alla libertà e alla responsabilità, ad una cittadinanza attiva e propositiva, a un pensiero che non è lontano dall’azione ma che motiva e fonda le piccole o grandi scelte quotidiane e della vita, nel presente e per il futuro e non si riduce a mero apprendimento di competenze, seppure soltanto cognitive e strumentali o tecniche. Gli sguardi pensosi, i pensieri vibranti …. in compagnia di Gesù Cristo unico faro dell’azione educativa, possiamo..dobbiamo riappropriarci del dialogo nell’alleanza educativa scuola-famiglia consapevoli che la cifra che contraddistingue la vera azione educativa è la Grazia di Dio.
Elena Toso
Istituto Seghetti - Verona