“DO LA MIA VITA ……

La relazione educativa che fa vivere

Già dai primi passi dentro questo ministero altissimo che è l'educare, ci soccorre una Parola che è stata annunciata e che abbia¬mo iniziato a masticare, perché la Parola di Dio va masticata, essa ci incoraggia, ci illumina, ci rassicura: "Io sono il buon/bel pastore conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, per loro io do la mia vita". Il Bel pastore, perché nel testo greco lo stesso aggettivo che traduce "buon" traduce anche "bello". Rammento Dostoevskij quando afferma: "è la bellezza che salva il mondo", è la bellezza che salva la nostra vita, come a dire c'è un principio di bellezza dentro ogni realtà. Ma non è l'uomo ad averlo messo e ha bisogno di uno sguardo capace di intercettarlo. Questo è il compito di ogni educatore.
Mi soffermo su alcune suggestioni che emergono da una prima lettura dell'inciso dell'evangelista Giovanni: l'attenzione è al pastore, alle pecore che conoscono. C'è una circolarità più volte ripetuta nel brano di conoscenza e di riconoscimento di una voce, di una presenza, di un'azione del prendersi cura che permette la vita, promuove l'umanizzazione, il crescere come persone. È una conoscenza generata da una fiducia reciproca, da una certezza che è a fondamento della dinamica dell'uscire da sé per esplorare, incontrare, porre in atto... agire.
L'immagine del buon pastore si concretizza in questo tratto fondamentale: lui conosce le sue pecore ed è una relazione sorprendente, è sufficiente che le pecore sentano la voce del pastore, non c'è bisogno che alzino lo sguardo, odono e lo seguono, si fidano, di una fiducia incondizionata, non hanno bisogno di controllare ... sanno da che parte andare anche se non guardano in faccia il pastore: suo compito è tracciare una traiettoria di vita.
Conoscono, odono e riconoscono nel cuore la voce, neanche i discorsi e i contenuti, così come per i bambini la voce della mamma: il bambino conosce la voce della mamma che lega, crea un ponte, un'alleanza con lui.
Questi due sono indissociabili, si capiscono e il bambino si affida senza indugio.
Prendersi cura ci dice la vita, ce lo ricorda il vangelo consente all'altro di superare la propria condizione di fragilità, è modalità ineludibile del nostro nascere al mondo. Senza una figura capace di dedizione materna, l'essere umano difficilmente continua a nutrire il desiderio di ex-sistere che lo ha portato alla luce. L'essere umano ha bisogno di ricevere cure per potersi aprire alla vita e di aver cura di sé per poter cogliere e gustare il valore della propria esistenza. Prenderci cura equivale a dare vita, equivale a condurre, aprire dei sentieri, delle traiettorie di vita, equivale a creare delle esperienze di vita buona che permettono a ogni bambino/ragazzo di scoprire, gustare e costruire il valore della propria esistenza.
Insisto su questo verbo: gustare. La Genesi ci ricorda che Dio creando l'uomo vide "che era cosa molto buona/bella". C'è un principio di bellezza che siamo chiamati a saper intercettare: la bellezza che sta salvando la vita di ogni piccolo uomo ha bisogno di uno sguardo che la intercetti, perché sia reso capace di gustare la bellezza della vita e sappia viverne. A differenza di tutte le altre creature della natura, egli ha bisogno dello sguardo di un altro per conoscere la sua bellezza, per essere se stesso ha bisogno di trovarsi dentro uno sguardo che sa riconoscere, dentro una relazione.
Mi pare di poter dire che questo possa essere la declinazione dell'invito evangelico del "dare la vita" non in unica soluzione, in un atto definitivo, evidentemente, ma in una quotidianità che è impregnata di tante priorità che ci chiedono riconoscimento, perché la vita possa essere generata. Non c'è un momento stabilito per dare vita, si genera vita quando è richiesto, non quando il protocollo lo prevede ... possiamo azzardare a dire che questa "postura generativa" che sa farsi carico della vita degli altri, è il substrato sul/nel quale noi educatori, genitori, insegnanti, catechisti operiamo, perché siamo tutti padri e madri anche se non abbiamo generato nella carne, paternità e maternità sono dimensioni interiori che ci appartengono e che richiedono di essere esercitate sempre. Il prendersi cura dell'altro nutre il desiderio di ex-sistere. Se ci soffermiamo sull'etimo di questo termine: "desiderio di strappare qualcosa alle stelle, qualcosa che sta in alto..." scopriamo un'indicazione fondamentale. Possiamo chiederci cosa centriamo noi con i desideri dei nostri ragazzi? Credo che il nostro compito sia quello di rendere accessibile, di rendere concreto e possibile il desiderio di ex-sistere: di venire alla luce, di darsi forma, di raggiungere quella forma di vita migliore possibile a cui ognuno è chiamato, di dare il meglio di sé. Ognuno di noi si insinua dentro questo desiderio e lo fa crescere tramite l'azione di cura che convoca a un agire, prima di tutto, acco¬gliente che è diverso da essere accettati, in quanto l'accettazione implica uno sforzo, accoglienza piena di stima che permette ad ogni limite di diventare un punto di forza. Generiamo vita prendendoci cura, diamo vita riconoscendo la vi¬ta dell'altro.
Il riconoscimento è fondamentale, è sostanza della relazione educativa, è uno sguardo che raggiunge e tocca la vita di chi ci è affidato e sa comunicare ciò che è vitale: tu esisti, tu vali, tu sei importante, tu ti stai costruendo, tu hai fatto dei passi, dei miglioramenti. Questa è la condizione perché ogni bambino, ragazzo, giovane, possa formarsi nella sua traiettoria evolutiva e nel proseguo della vita. E' proprio grazie al sentirsi riconosciuti che la persona assume la responsabilità della propria esistenza una volta giunti alla consapevolezza di sé e del proprio valore. Riconoscere per generare interiorità, perché i bambini/ragazzi imparino a voler bene a se stessi e agli altri, a indirizzarsi verso un progetto grande per il quale sono nati. E ogni educatore ha il dovere di saper condurre, di fornire strumenti, perché diano forma alla loro interiorità, tramite le parole, la riflessione sull'esperienza, la capacità di porsi interrogativi.
Nell'intento di capire chi sono e chi vogliono essere, i ragazzi sono chiamati a confrontarsi con un
 mondo fatto di pensieri, esperienze generate nel dialogo con l'altro, l'adulto che è punto di riferimento.
La relazione educativa ci richiede un grande investimento in termini di energie e di affetto per prestare attenzione, pensare, comunicare con l'altro, per essere riferimento per ciascuno e per tutti, ci richiede capacità di ascolto dentro un dialogo accogliente, attento, rispettoso dei tempi e delle emozioni che i giovani, soprattutto adolescenti, vivono con grande intensità e che gli adulti devono saper contenere, adulti fermi, ma accoglienti senza condizioni. A volte i ragazzi si ribellano per la loro fragilità e potersi fidare e affidare ad altri diventa la possibilità non solo per sopravvivere, ma per costruirsi come persone. Essere accanto a loro capaci di soddisfare le esigenze emotive, affettive, cognitive ci fa essere presenze rassicuranti nel momento in cui si trovano a confrontarsi con il nuovo e con l'incertezza che porta con sé.
L'essere presenti nella loro vita fa sì che si generi fiducia, essa scaturisce, da una vicinanza che dice "la tua vita è importante, mi sono accorto di te, tu vali". Come fa il bel pastore della parabola.
Di questo hanno bisogno, di educatori adulti che sanno scommettere sulle loro capacità, che sanno essere guida e sostegno, fermi e autorevoli quando è il momento per il ragazzo di misurarsi ... quando il confronto cede il passo allo scontro inevitabile, al contrasto così importante per fare il passo di crescita necessario.
Suor Luisa Ruggeri fscj

 

Bibliografia di riferimento
P. Dusi (2007), Riconoscere l'altro per averne cura, Editrice La Scuola
L. Mortari a cura di (2010), Dire la pratica. La cultura del far scuola, Bruno Mondadori
P. Dusi (2013), La comunicazione docenti-genitori, Franco Angeli Editore

 

Educatori e Carisma

 VERONA,  settembre....
  Ai Gestori- ai Presidi

         ai docenti ed educatori 
Carissimi, siamo all’inizio di un nuovo anno scolastico durante il quale siamo invitati a guardare i nostri affidati con occhi nuovi, con cuore aperto, pieno di speranza e di fiducia nel cammino che siamo chiamati a realizzare con loro, senza chiuderci nel nostro recinto di conoscenze acquisite, di metodi educativi sperimentati, sempre pronti ad aprirci al nuovo che la realtà di ogni giorno ci presenta attraverso le domande, le esigenze dei nostri alunni e a metterci a servizio della loro crescita nel dono totale di noi stessi perché l’educazione è:
- “ un ministero altissimo e divino“ (scriveva Santa Teresa nel lontano 1800 )che domanda continuamente di uscire da noi per incontrare l’altro. L’educare è vocazione, non è una professione qualunque poiché siamo chiamati a servire per far crescere quella porzione di umanità che ci è affidata da Dio per realizzare il progetto che Dio stesso ha su questa umanità e quindi siamo chiamati a consegnare la vita dei nostri educandi al futuro.
- la luce che illumina il cammino dei nostri educandi per aiutarli a crescere affinchè imparino a vivere e diventino uomini e donne adulte e mature, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita con onestà e nella ricerca del meglio per loro e per tutti quelli che incontreranno
- l’atteggiamento del pastore che conosce le sue pecore, le chiama per nome ed è pronto a dare la vita per ognuna di loro
- la logica del seme che se non muore non può dare frutto
- farsi cibo poiché di giorno in giorno, di ora in ora siamo chiamati a sfamare l’intelligenza, il cuore dei nostri ragazzi e quindi a donare qualcosa di nostro perché loro crescano. Ripetiamoci spesso:”Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba.” (Paradiso Canto X,25) Parafrasando liberamente Dante diciamo in cuor nostro: ora, ragazzo mio, resta pure seduto al tuo banco a meditare su quello di cui ti ho offerto soltanto un assaggio, se vuoi provare la gioia che non lascia avvertire la stanchezza. Ti ho messo in tavola il cibo: ormai puoi servirti da solo…
Ecco perché si è scelto, per quest’anno, l’impegno educativo “ Do la mia vita ” da concretizzare attraverso un cammino di partecipazione tra noi educatori, coi nostri affidati, le loro famiglie e la società.
Desidero che la Parola di Dio, luce ai nostri passi, illumini il cammino che siamo chiamati a percorrere insieme quest’anno e parto dalla Parola che il Signore rivolge al Profeta Ezechiele perchè animi col cuore i pastori ai quali è affidato il popolo d’Israele. Anche a noi sono affidate persone da condurre, da guidare ecco perchè l’ascolto di ciò che Ezechiele (34,2b-6;11-16) dice ai suoi può aiutare la nostra riflessione.
“Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d'Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite… Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura……
Dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le ritirerò dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d'Israele, nelle valli e in tutte le praterie della regione. Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d'Israele; là riposeranno in un buon ovile e avranno rigogliosi pascoli sui monti d'Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.”
Al tempo di Ezechiele chi veniva identificato con la figura del pastore? Coloro che avevano campiti di guida e cioè i re, i giudici, i profeti, i sacerdoti, le guide, ma i pastori di cui parla il profeta, in generale, non avevano capito la cosa fondamentale, che il popolo non era di loro proprietà, ma di Dio! e che quindi non potevano fare quello che volevano, soddisfacendo i propri interessi. Per questo motivo verranno tolti dall’incarico. Chi guiderà allora il popolo? “Io stesso”, dice il Signore e lo fa con gli atteggiamenti propri del vero pastore, attento ad ogni pecora e disponibile a donare la vita per ognuna di esse presentandoci così il suo autoritratto. La Bibbia conosce "infiniti" nomi di Dio. Nel tentativo di dare un volto alla Sua presenza e di riconoscere e descrivere la Sua azione e il Suo amore, gli autori biblici cercano, dentro l'esperienza della vita del loro tempo, le immagini e le metafore più espressive. Una di queste è certamente la figura del pastore bello, buono, amorevole che la Bibbia ci presenta donandoci una preziosa testimonianza.
Parlare di pastori nella nostra società elettronica e mediatica, costituisce un riferimento ad uno scenario bucolico, agreste di altri tempi. Le pecore e i pastori sembrano lontani dal nostro mondo, dal nostro quotidiano, ma se pensiamo bene alle attitudini che caratterizzano il vero pastore possiamo trovare legami profondi col nostro essere educatori oggi.
Il vero pastore è
Responsabile del gregge che gli è affidato: ricordo che il termine responsabile deriva dal latino respònsus, participio passato del verbo respòndere, rispondere cioè, a qualcuno o a se stessi, delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano. Siamo responsabili di ciò che attraverso il nostro modo di essere, dire, fare trasmettiamo ai nostri educandi consapevoli che la generazione che abbiamo davanti farà la storia di domani e favorirà o rendere difficile la vita di molti uomini
Immagine della cura: “…io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura…”: perciò
-conosce le sue pecore ad una ad una, i loro bisogni, le loro fragilità, il loro "temperamento", il loro passo veloce o zoppicante. Dice la nostra Fondatrice negli scritti del 1841 “…per ben riuscire nell’educazione è necessario che l’educatrice studi ben addentro ,nella mente e nel cuore , l’allieva per conoscere l’indole, le tendenze e le disposizioni…”
-conosce la realtà nella quale le sue pecore vivono: i pericoli dei sentieri, le insidie del cammino, i percorsi scoscesi e i dirupi; sa dove si trovano le sorgenti d'acqua e dove ci sono zone aride e brulle oppure erbose. Conosco io, noi, la realtà dalla quale i nostri affidati provengono? O mi basta sapere il nome imparato perché faccio l’appello al mattino? Mi domando cosa porta nel cuore quel ragazzo che ho davanti e mi guarda magari con sfida e io non lo valuto perché non sa la formula di matematica?
-veglia anche la notte ed è attento al minimo rumore sospetto. Scriveva la nostra Fondatrice nel 1839: ”…sta sempre sorvegliante sopra coteste care pianticelle del Signore onde esser pronta a svellere dalla radice al suo nascere, ogni germoglio di passione… e piantarvi sode virtù: il cuore delle giovinette è come molle cera, e riceve tutte le impressioni che gli si dà…”
-carica, quando è necessario, sulle spalle la pecora zoppicante o ferita ... l
-è dedito al suo gregge: lo ama, lo guida saggiamente verso i pascoli sani e nutrienti e, all'occorrenza, sa difenderlo.
Potremmo riassumere tutti questi atteggiamenti in un solo verbo: vedere. Il pastore vede col cuore e di conseguenza interviene. Ma attenzione, possiamo anche vedere, ma ciò che vediamo, a volte, non trova risonanza nel nostro cuore perché i preconcetti sulle persone ci condizionano perché vogliamo ridurre l’altro a nostra immagine e quindi non aiutiamo l’allievo a crescere nella libertà e responsabilità.
Come possiamo vedere con il cuore? La risposta la troviamo sempre negli scritti della nostra Fondatrice che ci suggerisce di Educare animate dalla carità. Infatti Santa Teresa scrive “Dovete amare sinceramente l’anima delle vostre giovani come l’ ama Iddio stesso”. (Dov. III,366)
E’ una sfida lanciata nel 1800, ma valida oggi nella complessità del contesto nel quale siamo chiamati ad operare, illuminati dalla Parola, dall’esempio di Gesù del quale vorrei sottolineare la passione educativa per tutti coloro che incontra e hanno bisogno non solo di guarigione dalle malattie fisiche, ma soprattutto di orientamento spirituale:
« Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.” (Mc.6,30-34)
Il riferimento al pastore richiama il passaggio positivo di Ezechiele che abbiamo appena letto, e rimanda alla meravigliosa realtà del “bel - buon pastore”, che è Gesù stesso e che cerca – incontra ogni uomo col cuore colmo di tenerezza e di amore. Ma chi è l’uomo che Gesù incontra e davanti al quale si commuove e al quale rivolge tutta la sua attenzione?.
L’uomo che Gesù incontra lungo il suo camminare per le strade della Palestina è l’uomo di ogni tempo che necessita di speranza, perche ha perduto il senso delle cose, il significato della vita stessa. Gesù ama la sua gente e la passione educativa che mostra in ogni suo incontro non può essere compresa altrimenti che a partire dal suo amore per la vita di ognuno, per la vita di tutti gli uomini. Ogni uomo è per lui importante: il giudeo, la cananea, gli apostoli, gli scribi, i peccatori e Maria la Madre sua, gli indemoniati ed i sani, le donne che lo servono ed i poveri, i samaritani ed i greci, il ladrone che sta per morire ed i bambini che egli pone al centro. Ogni gesto di Gesù nasce dall’amore per la vita della persona che vuole realizzata, che vuole salva a costo della Sua stessa vita e perciò nessuno è escluso da questo amore che patisce-con, si muove-con, prova tenerezza nelle sue viscere perché prima Lui vede la persona, la accoglie così come è e poi interviene. Direbbe Papa Francesco che Gesù riconosce l’uomo che incontra dall'odore, lui che con le pecore sperdute, sofferenti, malate si è mischiato per tutta la vita.
L’ atto veramente educativo non consiste nel fare qualcosa, nell’agire, ma nello sforzo del “vedere, capire” chi ci sta di fronte, di cogliere cosa vive, di cosa necessita. Lo sguardo dell’educatore non può essere quello di chi già conosce in anticipo chi ha davanti, perché pensare di sapere impedisce di far domande e quindi di incontrare davvero l’altro. L’educatore tiene gli occhi del cuore aperti sempre per cogliere i piccoli gesti e tutto ciò che vibra in positivo o in negativo nel cuore di chi ha davanti e cercare ciò che può aiutare la crescita dell’affidato: “non si vede bene che col cuore…” (leggiamo “Nel piccolo principe” di A. de S. Exupéry) ed è l’amore per l’altro che ci fa stare accanto con discrezione, con passione, ma, mi ripeto, il primo atto è quello di vedere, di accorgersi della persona che mi guarda e fino a che i due sguardi non si incontrano non scatta la relazione educativa, non scatta la partecipazione. Siamo chiamati oggi più di ieri a vivere quello che la parabola della pecorella smarrita in Mt. 18,12-14 ci presenta.
"Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico : se riesce a trovarla , si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite . Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda.”
La parabola è introdotta dalla forma interrogativa: “Che cosa vi pare?” Con questa domanda Gesù intende allertare i suoi interlocutori e richiamare la loro attenzione. “Che cosa vi pare, presidi, educatrici, insegnanti, gestori se ?” infiniti possono essere gli esempi del se… in positivo e in negativo …. a noi il pensarli.
Segue il racconto diviso in tre momenti:
Nel primo è presentato il protagonista: un proprietario che possiede un gregge numeroso di cento pecore, ne smarrisce una, si muove, lascia le sue sicurezze, torna sui suoi passi, cioè torna indietro, per andare a cercarla perché ha il cuore buono e conosce il valore di quella pecorella. Si potrebbe pensare che la perdita di una pecora non abbia molta importanza, ma per il pastore bello no, è importante, egli abbandona le altre novantanove al sicuro per andare in cerca di quella smarrita

Nel secondo il protagonista si mette alla ricerca dell’unica pecora smarrita.
Questo è il cuore della parabola: è il pastore sollecito che va in cerca della pecora smarrita ed è pieno di gioia quando la sua ricerca va a buon fine. A prima vista il comportamento del pastore sconcerta. Lascia le altre novantanove, sui monti, senza che nessuno le assista. Questo comportamento paradossale è un invito a uscire dai parametri dei calcoli e delle misure umane. Si tratta di entrare nella logica del Padre: per Lui ogni uomo è valore assoluto e, in quanto tale, è amato.
Riferendosi a questa parabola l’Arcivescovo Vietnamita F.X. Van Thuan , dice che Gesù non conosce la matematica: per lui “uno equivale a novantanove, e forse pure di più! Chi accetterebbe mai questo? Ma la sua misericordia si estende di generazione in generazione…” Oggi papa Francesco direbbe che siamo chiamati a lasciare l’unica pecorella al sicuro per cercare le 99 perse.
E’ la logica dell’amore, che si dona senza calcoli ed entrarvi è fatica oggi come allora. Ma è profondamente coerente con l’essere di Dio che si è rivelato in Gesù Cristo che per amore dell’umanità muore in Croce.
Matteo parla di pecora perduta ma utilizza il verbo greco planàn che all’attivo significa ingannare, sedurre e al passivo suggerisce l’idea dell’errare, smarrirsi, fuorviare. Dunque non parla di qualcuno che si è perso ma di qualcuno che va errando o corre il rischio di smarrirsi o fuorviarsi. Questi particolari non sono irrilevanti, dicono ancora di più a noi che siamo continuamente chiamati a vigilare affinchè l’alunno, lo studente che rischia di smarrirsi, o si è fuorviato ed erra, deve essere aiutato a ritornare ma proprio grazie al nostro sguardo attento e amoroso che lo segue, che lo raggiunge.
Nel terzo e ultimo momento l’esito è positivo: la gioia del ritrovamento per la pecorella ritrovata e riportata fra le novantanove che non si erano smarrite. Il fatto di aver lasciato le novantanove per cercare la smarrita, indica quanto quest’ultima valga agli occhi del pastore. Lo studente, l’alunno, che noi facciamo fatica ad accogliere perché difficile, perché smarrito, sta a cuore al Padre: è il centro dei Suoi pensieri e delle Sue cure e la gioia che nasce dal ritrovamento avvenuto, è certamente proporzionale all’attesa e al valore della persona che si attende.
“Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda …”: questa è la volontà del Padre per ognuno di noi chiamati ad esercitare il ministero altissimo dell’educazione e cioè: che nessuno dei nostri affidati si allontani dal progetto che il Padre ha su di lui, ma soprattutto che noi li aiutiamo a realizzarlo.
Termino ripetendo una frase che ho detto all’inizio e vi invito a ripeterla, quasi come un mantra, soprattutto quando siamo, siete tentati di non credere nel valore della missione che vi è stata donata: ” siamo chiamati a consegnare la vita dei nostri educandi al futuro” 
                                                                  Suor Lorenza Morelli Sup. Provinciale FSCJ

 

Incontro Nazionale Laici – Verona 26 aprile 2015

L’incontro di Spiritualità “Laici e Carisma” ha avuto come tema

   “Non lasciatevi rubare la Speranza

Al saluto della Madre Provinciale, è seguita la riflessione di Don Augusto, sviluppata in tre passaggi: la Speranza è cammino esodale verso una terra promessa sconosciuta; la Speranza come desiderio da coltivare in atteggiamento di attesa, pazienza e costanza, attivazione e creatività di energie e capacità magari nascoste, fiducia e certezza. Speranze – desideri non sempre realizzabili –  che lasciano spazio alla delusione; questa stessa può diventare momento terapeutico, se ben curata ed elaborata, per una ulteriore e fondata Speranza: la Speranza cristiana che diventa storia personale di salvezza, riuscita di vita nel progetto di Dio.

Gesù, l’uomo della grande Speranza, ha la certezza che il Regno di Dio si realizzi, per questo si occupa dei poveri; dà segni di un mondo nuovo, usando il linguaggio parabolico dove, al modo legalista di giudicare le situazioni con categorie di colpa e punizione, sostituisce quelle di colpa – perdono e gratuità.

Nella Evangeli Gaudium, il principio del tempo – quale forma di speranza –  aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse o i cambiamenti dei piani… È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite… ad occuparsi di iniziare processi… senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci. (EG. 222-223).

Suor Daniela Perina ha presentato la Speranza negli scritti di S. Teresa Verzeri. Per la Santa, la Speranza equivale a fiducia-confidenza, possibile per motivi speciali da attingere alla Misericordia. C’è una possibilità di stare fermi nelle contrarietà, fedeli a rispondere al progetto di Dio perché la vera confidenza è figlia dell’Amore  alla divina volontà.

Le riflessioni profonde che sono emerse dai partecipanti, assai numerosi, sono indice della serietà e del loro impegno per un cammino carismatico importante.           

 Suor Assunta Bressan 

 f.s.c.j.

CAM Centro di Animazione Missionaria

 

Chi li ha visti?
Non è la trasmissione televisiva.
Chi li ha osservati?

Viaggiano da Nord a Sud, dall’Italia all’estero. 
Accolgono compagni di avventura nuovi e vecchi e costruiscono amicizia e fraternità.
Collaborano come se fossero sempre vissuti insieme, docili al “capo” del momento per quel servizio, e sempre aperti ad offrire e ad accogliere consigli o suggerimenti e a cercare il meglio per la situazione in corso.

Persone strane?... No!
Sono persone che si sono lasciate toccare da Dio e dall’uomo.
Hanno scoperto anche l’ ”ANDIAMO” di S. Teresa e lo incarnano nel V.Ai. (VOLONTARI AIUTAMONDO) di oggi.
Sono cresciuti e hanno maturato l’Andiamo” insieme con il “mandato” V.Ai, in spirito missionario.
Sulla tessera associativa del V.Ai. possiamo trovare in sintesi lo spirito che anima il loro operare.
“I volontari che collaborano con le Figlie del S. Cuore di Gesù sono motivati da una convinta adesione alla fede cristiana, che li rende testimoni della speranza e operatori di carità, in uno stile che annuncia la pazienza, la mitezza, la misericordia del Cuore di Cristo.
Prestano gratuitamente la loro opera con generosità, in spirito di servizio e di amicizia ai fratelli in difficoltà di vita”. (dalla Carta del volontario)
Ecco perché viaggiano su un furgone che porta i “segni” di tanta carità, sempre stracarico degli oggetti più vari, che si annuncia con un pass “CARITAS” accompagnato da volti sorridenti e accoglienti, a volte stanchi ma contenti, e che raccoglie tante “Storie Sacre” quelle degli uomini del nostro tempo.
E’ la sacralità della vita che cammina sulle nostre strade: della propria e di quella del fratello accanto.
Queste persone, normali ed eccezionali insieme, si fanno trasportatori, elettricisti, mobilieri, falegnami, muratori, giardinieri, imbianchini, idraulici, facchini, sarte, ricamatrici e,… per dar sapore alla vita e allo stare insieme, anche cuoche.
In questo scorcio di anno trascorso hanno regalato tempo, testa, competenza, generosità, sorrisi, forza, bellezza, ma soprattutto cuore e preghiera … a S. Felice, Verona, Brescia, Albino, Cavalese, Bergamo, Roma, ed anche in Romania e in Albania.
Da queste pagine, a tutti e a ciascuno di loro, il Grazie da parte di quanti hanno goduto della loro presenza e del loro lavoro.
Ai simpatizzanti e a chi non ci conosce vorrei dire:” Coraggio, fatti avanti! C’è posto e c’è bisogno anche di te! Se non puoi lavorare materialmente, ma puoi pregare e offrire la tua sofferenza, il tuo quotidiano, le tue idee e la tua simpatia, sei anche tu benvenuto tra noi e sei prezioso. Ti aspettiamo!
Fatti vivo il 27 ottobre, alle ore 09:30 presso il Seghetti, Piazza Cittadella, 10 - Verona: riprenderanno gli incontri di spiritualità per gli “Amici del S. Cuore “ a cui tanti associati V.Ai partecipano fedelmente: non mancare!
La sede dei “Volontari Aiutamondo” è Brescia, Via Martinengo da Barco, 2/A tel 03042242

E ci puoi raggiungere via mail ai seguenti indirizzi
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 Suor M. Letizia Conti fscj

 

 

MISSIONE E MICROPROGETTI AFRICA - BIMBO
Carissimi Amici,
quest’estate NON SI POTEVA RAGGIUNGERE il Collegino di BIMBO poiché la situazione politica della Repubblica Centrafricana, non ha permesso la realizzazione di esperienze estive di Volontariato a BIMBO, come si desiderava, quindi le giovani Volontarie sono “volate” in Cameroun.
Ho incontrato, quest’estate Suor Paola, Responsabile del Collegino di Bimbo – Bangui e, dopo aver fatto una panoramica circa la situazione socio-politica di un Governo rovesciato, di distruzioni selvagge, uccisioni e pericoli che lasciano intravedere ancora gravi pericoli e difficoltà per la popolazione, mi ha parlato dei bambini ospiti nella Missione i quali hanno imparato a stare molto più attenti e a prevenire eventuali pericoli. I bambini, nei mesi scorsi, hanno manifestato la loro maturità e si sono stretti intorno alle Suore che li custodiscono e li proteggono.
La piccola Comunità religiosa tenta di realizzare una completa “educazione” attraverso l’accoglienza, l’ospitalità, la scolarizzazione, l’alimentazione, la formazione del futuro cittadino e la cura della salute. Per rispondere ai vari bisogni dei bambini, negli ambiti sopracitati, la Casa di Accoglienza ricerca gli appoggi necessari nel tentativo di proseguire con dignità in questa Opera Educativa molto importante”.
Nella casa di Accoglienza, ci sono 47 bambini interni, con un’età che va dai 4 ai 13 anni e poiché questa “famiglia” è numerosa, numerose sono le necessità che vanno dal fronteggiare l’alimentazione quotidiana al vestitino, all’assunzione di Insegnanti per la scuola, al materiale didattico, alle suppellettili, all’acqua, alla luce, alle riparazioni…

Offriamo alla tua attenzione alcuni piccoli PROGETTI stilati da Suor Paola stessa: eccoli !

 

MICROPROGETTI
Casa d’Accoglienza di bambini orfani al Centro “Da ti nzoni be ti Jesus ” BIMBO – Centrafrica

1 – UN BICCHIERE Di LATTE
Un bambino orfano, potrà avere un BICCHIERE di latte ogni mattina
vi chiediamo gentilmente un *** Contributo di sostegno di 70,00 Euro ***

(Un sacco di latte costa 80.000 Franchi cfa. Per capirci: 100,00 Euro corrispondono a 65.595 Franchi cfa) Se saremo in tanti, copriremo il fabbisogno annuale!

2 – ACQUA E LUCE
Riteniamo Grande Provvidenza ricevere un contributo per ACQUA E LUCE
per la conduzione della vita all’Orfanatrofio
*** Quota di sostegno 50 euro ***

3 – MATERASSO
Per una sua più grande dignità puoi assicurare ad un bambino, di dormire sopra un materasso con lenzuola, anziché sulla stuoia.
*** Quota di sostegno unitaria 60 euro ***

4 - ZANZARIERE PER SALVAGUARDARE LA SALUTE
Desideriamo dotare sette aule e due dormitori di zanzariere per le porte e le finestre per evitare il passaggio delle zanzare che sono portatrici di malaria.
*** Quota di sostegno 200 euro ***

5 - FORMAZIONE PROFESSIONALE                   

Sostieni la formazione dei ragazzi in difficoltà,
attraverso attività artigianali e ludiche.
*** Quota unitaria di sostegno 50 euro *** 

6 - PER FAR CRESCERE LA FEDE
Aiuta i bambini che frequentano il Catechismo
ad avere il Vangelo, la coroncina e la croce quando riceveranno i sacramenti.
*** Quota unitaria di sostegno 25 euro***


Quando i ragazzi escono dalla Scuola del Collegino e vengono iscritti alle Medie Superiori del Paese,
viene devoluto un contributo per pagare la Scuola altrimenti le famiglie non farebbero proseguire gli studi

 

AGNIBILEKROU – Costa D’Avorio

Ho incontrato Soeur Eugénie Figlia del S. cuore di Gesù a Verona. E’ lei che dirige già dal 2006 il CENTRO per la RIABILITAZIONE ad AGNIBILEKROU in Costa D’avorio. In tutti questi anni la sua opera si è svolta con grande dedizione lavorando nella struttura creata dai Sacerdoti Fidei Donum della Diocesi di Bergamo, Missionari ad Agnibilekrou da molti anni; essi reggono la Parrocchia dedicata a St Maurice.
La povertà degli strumenti usati fino ad ora da Suor Eugénie non le hanno impedito di ottenere ottimi risultati nei confronti dei suoi pazienti piccolini, grandicelli ed anche “su di età” come Daniel. La sua stessa creatività e la fantasia sostenute dalla collaborazione dei missionari e dei loro fratelli, volontari, che hanno prodotto la strumentazione per il “Centro” le hanno permesso di portare avanti il lavoro in modo dignitoso e positivo. Ora, però, era necessario aprirsi a metodologie più avanzate.
La richiesta della Madre Generale ha trovato una risposta adeguata: si trattava di offrire a Suor Eugénie uno “stage” in una struttura Italiana, qualificata, ed ecco che la Comunità di Verona l’ha ospitata permettendole di raggiungere quotidianamente il Centro di Riabilitazione Motoria “REHAB” del Dr. Bragantini Dr. Ricci e Prof. Grazioli.
Quando ho saputo della sua presenza a Verona ho cercato di incontrarla, ci siamo parlate, abbiamo ricordato il tempo trascorso insieme in Costa D’avorio e nel desiderio di fare qualcosina ho compreso la necessità di dotare il suo Centro di un apparecchio Elettrostimolatore TENS; ho cercato la “Provvidenza” e i miei fratelli mi hanno coperto le spese.
Piccola cosa in Italia? Grande cosa per la terra d’Africa!
C’è ancora bisogno di microPROVVIDENZA PER microPROGETTI.

Suor Mariagrazia A. fscj

 

 

Bolivia 2014...

Ci abbiamo provato anche quest’anno. Anche quest’anno, prima di partire, abbiamo svuotato lo zaino dei pensieri e della mente e ci siamo rimessi in gioco, questa volta, però, in una Terra molto lontana, una Terra da sempre culla del calore umano, dei rapporti, dell’ospitalità: l’America Latina.
     Precisamente siamo partiti alla volta della Bolivia. Uno degli Stati più poveri del Sudamerica. Poveri dal punto di vista materiale, sia chiaro, perché dal punto di vista “umano” sono molto più ricchi di noi occidentali, che siamo spesso impauriti non solo dal “diverso”, ma anche dal nostro vicino di casa… tutto questo in Bolivia non accade. Ci hanno accolto benissimo fin dal primo giorno. Un affetto che ci ha addirittura spiazzato e, a tratti, imbarazzato.
     Abbiamo trascorso tre settimane in questa magnifica Terra. Tre settimane ospiti della Missione delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù presso Minero. Minero è un villaggio molto povero a circa due ore di macchina da Santa Cruz de la Sierra, la città più popolosa di tutta la Bolivia, situata nella parte orientale. Le tre sorelle, Elaine, Rosane e Marinez, sono tutte e tre originarie del Brasile. A Minero gestiscono un centro per bambini che vivono in condizione di povertà e con difficoltà familiari. Un’insegnate boliviana, detta “Profesora”, gestisce dal punto di vista pratico questo centro, insegnando anche canti, balli e aiutando questi bambini, dai 5 agli 11 anni, a studiare. Il nostro contributo è stato proprio di questo tipo: abbiamo affiancato la “Profesora” nelle attività di tutti i giorni, oltre ad insegnare loro anche qualche nuovo gioco. L’affetto che ci hanno dimostrato i “niños”, fin dal primo giorno, è un’emozione che mi porto ancora dentro. Un affetto semplice, genuino, sincero, come solo i bambini possono dimostrare. I bambini possono insegnarci molte cose, ci parlano con i loro gesti, con i loro occhi, ci fanno riscoprire il valore della sincerità, il valore della semplicità. Su questi valori dobbiamo basare la vita di tutti i giorni, per poter rivalutarci in quanto “esseri umani” rendendoci portatori sani di gioia, cultura e solidarietà. (“…La crescita dello spirito segue il cammino inverso di quello della carne: il corpo cresce, ma l’infanzia è pur sempre il frutto.” C. B.)
      Anche la povertà, seppur a volte è difficile da comprendere, può insegnarci molto. Accompagnati dalle suore, dalla profesora e dagli stessi bambini, abbiamo visitato le famiglie in cui vivono i niños. Baracche di lamiera o di legno o, per chi è più fortunato, in mattoni, in cui vivono dalle quattro alle otto persone. Le famiglie sono molto numerose. Le condizioni di vita sono difficili, ma questo è un popolo orgoglioso, un popolo che non è abituato a piangersi addosso e che, consapevolmente, accetta le condizioni in cui si trova cercando di vivere in modo dignitoso.       L’ospitalità di questa gente è stata incredibile. Ci hanno offerto di tutto, regalato frutti del loro giardino e con questi piccoli gesti ci hanno spiegato il valore dell’accoglienza, un concetto che ultimamente sta scomparendo da noi in Occidente. Queste famiglie povere si aiutano a vicenda non solo se si trovano in difficoltà, ma anche nella vita di tutti i giorni. D’altronde il motto della Repubblica Plurinazionale della Bolivia è proprio “La unión es la fuerza” e non ci poteva essere motto migliore per descrivere il modo
di vivere di questo popolo. Anche il concetto di “tempo” merita due parole. I primi giorni sembrava non passasse mai. La vita scorre ad un ritmo più calmo, umano, per niente frenetica. Anche questo ci è servito. Perché da noi si è sempre impegnati a riempire l’agenda, a sfruttare ogni buco di tempo libero per fare una qualsiasi attività senza minimamente darle la giusta importanza. Anche il tempo è un valore. Loro, diversamente da noi, ne sono ancora padroni e non schiavi. Le giornate passavano bene, il nostro gruppo si affiatava. Tre ragazzi, tre ragazze con a capo la mitica Suor Luisa. Abbiamo potuto mettere in pratica tra di noi ciò che imparavamo giorno dopo giorno, confrontandoci, discutendo, parlando tra una canzone e l’altra sotto il bellissimo cielo stellato boliviano che chiudeva le nostre giornate. Ci siamo presi anche quatto giorni di “vacanza” (di cui due di viaggio) per andare a visitare il Salar de Uyuni, un immenso lago salato situato nell’altopiano Andino meridionale a 3650m di quota. Il deserto. Nel nulla cerchiamo noi stessi. Quello che siamo. […”E’ una domanda infantile, posta dall’anima che si dibatte in un lembo di cielo blu, sotto un silenzio troppo grande per lei: da dove vengo, io che non sono stato sempre qui? Dove ero quando non ero nato?”… C. B.] Tornati da questi quattro giorni da turisti, percorrendo migliaia di km in pullman malandati e maleodoranti su delle strade tortuose e difficili, abbiamo cercato di dimostrare la nostra gratitudine ai niños, rinnovando il parco giochi, scrostando e pitturando le giostre che ormai erano deteriorate: il gesto è stato piuttosto piccolo rispetto a quello che loro hanno fatto per noi. Il loro affetto, i loro occhi, il loro sorriso rimarrà per sempre nei nostri ricordi e ognuno di noi non li dimenticherà perché li manterrà nel proprio cuore.
   Grazie niños, non preoccupatevi ci rivedremo. Infine devo anche menzionare e ringraziare i lavoratori della Panetteria Sociale perché sono sempre stati molto gentili e disponibili. Ci hanno trattati come fratelli nonostante li avessimo battuti nella bella sfida Bolivia-Italia a calcio! Ci è piaciuto condividere con loro il Churraco a pranzo perché è stata un'occasione di scambio culturale e di arricchimento. Che dire, è stata un'esperienza molto interessante che ci ha presentato una realtà molto diversa dalla nostra. Una realtà che ha aperto la nostra mente e soprattutto il cuore. La cosa che non dimenticherò mai di queste tre settimane in Bolivia è la dolcezza, l'orgoglio e soprattutto l'ospitalità di questa magnifica gente. ¡Muchas Gracias Bolivia, yo te quiero mucho mas!
TOMMASO

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